Libano: neutralità e ritorno della “Svizzera del Medio Oriente”. Cosa può fare l’Italia

Bernard Selwan El-Khoury 19/10/2024
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“Una guerra per procura”: questo è stato il Libano negli ultimi 70 anni. Un Paese tanto piccolo geograficamente quanto grande, con i milioni di libanesi che oggi rappresentano la diaspora all’estero e che di fatto si sono sostituiti alle Ambasciate per riflettere la luce del Paese in cui sono nati. Una luce che nasce dall’oscurità di divisioni politiche, settarie e ideologiche che di fatto hanno contribuito alla nascita di tanti Libano diversi. Per citare il poeta e filosofo libanese Gibran Khalil Gibran, “voi avete il vostro Libano, io ho il mio”. Il Libano di Gibran è quello a cui oggi la maggior parte dei libanesi ambisce: un Paese con “i suoi sogni e le sue speranze, dove l’oscurità è rischiarata dalla purezza della neve” delle sue montagne.

Nelle ultime settimane, il fronte libanese del conflitto tra Israele e Hezbollah è stato teatro di una preoccupante escalation, segnando un netto distacco dagli obiettivi originari dichiarati dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF). Inizialmente, Israele mirava a neutralizzare Hezbollah, prevenendo il lancio di missili dal sud del Libano e permettendo agli sfollati israeliani di ritornare nelle zone evacuate nel nord della Galilea. Le operazioni di terra, mirate e circoscritte, sembravano indirizzate a colpire il partito-milizia con precisione chirurgica, concentrandosi su villaggi a maggioranza sciita sospettati di ospitare infrastrutture riferibili al “Partito di Dio”.

Tuttavia, gli attacchi dell’11 ottobre contro le Forze Armate Libanesi (LAF) e i sempre più frequenti bombardamenti nei pressi delle basi di UNIFIL sollevano serie preoccupazioni nella comunità internazionale e specialmente in Italia, che ha una forte presenza nella missione ONU. Questo cambiamento strategico rischia di trascinare Israele in un vortice diplomatico complesso, potenzialmente compromettendo i rapporti con la comunità internazionale e aggravando le sofferenze di tutta la popolazione libanese, non soltanto della comunità sciita che supporta Hezbollah. Tale evoluzione solleva interrogativi sulla sostenibilità di un approccio che potrebbe sfuggire di mano, innescando una spirale di escalation difficilmente controllabile.

 

Libano: il peso della scelta di Hezbollah

 

Il Libano paga oggi il prezzo dell’errore storico di Hezbollah: aver costruito uno Stato parallelo dotato di un potere militare superiore a quello dell’esercito regolare (LAF). Hezbollah ha consolidato la sua presenza territoriale, ma oggi anche una parte della classe politica sciita, come il movimento Amal, inizia a prendere le distanze da questa scelta, riconoscendo la necessità di ripristinare l’autorità dello Stato. La sfida è ripristinare la sovranità nazionale, indebolita dall’ingerenza di attori armati non statali.

Il futuro del Libano dipende da due condizioni essenziali: l’elezione di un Presidente della Repubblica indipendente da Hezbollah e il rafforzamento delle Forze Armate Libanesi. Un Presidente libero da condizionamenti e un Esercito nazionale forte possono avviare un reale processo di ricostruzione istituzionale. Figure come il Generale Joseph Aoun, Comandante delle LAF, o il Generale Elias al-Baysari, attuale Direttore della Sicurezza Generale, rappresentano potenziali leader in grado di guidare questo processo. Tuttavia, è cruciale che le LAF riaffermino la loro autorità come unica Forza Armata legittima in Libano, lungo la Blue Line, dove Hezbollah ha radicato il suo controllo militare.

L’imminente Conferenza di Parigi del 24 novembre rappresenta un’opportunità cruciale per il Paese dei Cedri. L’Italia, con la sua storica partecipazione a UNIFIL, può giocare un ruolo decisivo nel promuovere una soluzione che stabilizzi il Paese.

 

Israele: la strada da percorrere

 

Israele si trova a un bivio critico: colpire le Nazioni Unite e le LAF aggrava ulteriormente una situazione già precaria, minando le relazioni con la comunità internazionale e alienando la popolazione libanese. Invece, evitare l’escalation e favorire un processo di stabilizzazione politica post-Hezbollah potrebbe creare opportunità di dialogo e neutralità in una regione sempre più fluida. Con l’Iran apparentemente incline a ridimensionare il sostegno ai suoi tradizionali alleati, inclusi Hezbollah, la finestra di opportunità per un nuovo assetto regionale è reale.

Un’invasione su vasta scala del Libano rappresenterebbe un errore strategico per Israele. Sebbene la maggioranza della popolazione libanese non supporti le azioni belliche di Hezbollah, un conflitto su larga scala potrebbe catalizzare l’unità nazionale contro Israele, alimentando la nascita di nuovi movimenti armati. Tale scenario, già vissuto nel 1982 con la nascita di Hezbollah, sarebbe disastroso per entrambe le parti.

Israele deve quindi evitare a tutti i costi di ripetere errori storici, scongiurando la creazione di nuove formazioni resistenziali che potrebbero ottenere legittimazione politica e sociale.

 

Conclusioni

 

La comunità internazionale, con l’Italia in prima linea, ha la responsabilità morale di sostenere il Libano nel suo processo di rinascita politica e di restaurazione della sovranità. Il Paese dei Cedri deve tornare a giocare il suo ruolo storico di mediatore regionale e hub di stabilità economica e finanziaria, come accadeva negli anni Settanta. In altri termini, il Libano dovrà essere un Paese neutrale, una posizione che in passato gli valse il nome di “Svizzera del Medio Oriente”.

Lasciare che il Libano venga trascinato in conflitti per procura non è più un’opzione sostenibile, e il popolo libanese, che rigetta categoricamente questa deriva, merita un futuro di pace e sviluppo o, come scrive sempre Gibran, un Libano che “non si congiunge né si separa, non si dilata né diminuisce”.


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