Cessate il fuoco tra Hezbollah e Israele: tregua o preludio a nuove sfide strategiche?

Susanna Russello 29/11/2024
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Alle ore 04:00 libanesi del 27 ottobre, a un mese esatto dall’uccisione del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, l’accordo di cessate il fuoco tra il “Partito di Dio” e Israele, mediato dagli Stati Uniti e approvato dal Gabinetto di Sicurezza israeliano, è formalmente entrato in vigore. La tregua pone fine a un conflitto che ha infiammato la regione, ma il suo impatto va ben oltre il semplice arresto delle ostilità, configurandosi come un momento di svolta per tutti gli attori coinvolti: Hezbollah, Israele, Iran, Siria e, soprattutto, lo Stato libanese.

 

Hezbollah: una leadership decapitata e un futuro incerto

Nonostante Hezbollah stia cercando di presentare l’intesa come una “vittoria” del Partito di Dio, ovvero una seconda “vittoria divina” (che in arabo si traduce con “Nasrallah”, il nome dell’ex Segretario Generale di Hezbollah, ucciso il 27 settembre scorso) dopo il presunto trionfo del 2006, i fatti sul terreno raccontano una realtà molto diversa. Il gruppo sciita si trova in una posizione di estrema vulnerabilità. L’abbandono da parte dell’Iran, che ha interrotto i rifornimenti logistici e militari, in particolare dalla Siria, ha lasciato Hezbollah privo di un supporto strategico essenziale. A ciò si aggiunge la decapitazione della sua leadership e il danneggiamento delle infrastrutture di comando e controllo nel sobborgo meridionale di Beirut “Dahiyeh”, nella Valle della Bekaa e nel sud del Libano. Inoltre, la crisi del welfare, che ha compromesso la capacità del movimento di garantire sostegno economico ai suoi sostenitori, mina ulteriormente la sua credibilità interna.

In tale contesto, il “Partito di Dio” è costretto a riflettere sul proprio futuro. La sfida è duplice: da un lato, ripristinare la fiducia tra i suoi sostenitori e, dall’altro, decidere se abbandonare il ruolo di “esercito parallelo” per trasformarsi in un attore esclusivamente politico. Un percorso che potrebbe segnare una svolta nella sua strategia a lungo termine.

 

Israele e la sfida della stabilità regionale

Anche per Israele, la tregua rappresenta un’opportunità, che però potrebbe rivelarsi fragile. Il rischio principale è che Hezbollah utilizzi il periodo di cessazione delle ostilità per ricostituire le proprie capacità militari, inclusi i tunnel e le infrastrutture strategiche. Se ciò dovesse accadere, sarebbe una sconfitta non solo per Tel Aviv, ma anche per la comunità internazionale, incapace di garantire il rispetto delle clausole dell’accordo. Tuttavia, incidenti o violazioni imputabili alle Forze Armate Libanesi (LAF) nel mantenere la sicurezza nel sud del Libano potrebbero rafforzare la posizione di Israele, dimostrando che il problema non è solo Hezbollah, ma anche uno Stato – quello libanese – incapace di controllare il proprio territorio, come invece è espressamente previsto nell’accordo di cessate il fuoco mediato da Stati Uniti e Francia.

Per lo Stato libanese, questa tregua rappresenta un momento cruciale di responsabilità e maturità istituzionale. Simbolicamente, questa tregua porta lo Stato libanese da una fase di infanzia a una di maturità, con tutte le responsabilità che ne derivano. Con le LAF incaricate di garantire ordine e stabilità nel sud, il Libano si trova di fronte a una prova decisiva per dimostrare di essere uno Stato sovrano e affidabile. Un eventuale fallimento rischierebbe sia di compromettere la credibilità delle Istituzioni libanesi, a livello interno e internazionale, ma anche di rafforzare la percezione di Hezbollah come un’entità separata, allineata agli interessi iraniani.

 

Conclusioni

In definitiva, l’accordo di cessate il fuoco è molto più di una semplice tregua. È un delicato equilibrio tra rischi e opportunità, dove ogni errore potrebbe avere conseguenze profonde e durature. Per Hezbollah, la posta in gioco è la legittimità politica e sociale. Se il Partito di Dio dovesse essere il primo, con qualsiasi tipo di provocazione, a rompere l’accordo, sancirebbe in modo inequivocabile la sua appartenenza a un’agenda straniera – iraniana – piuttosto che nazionale-libanese. Per Israele, la sfida sta nella capacità di prevenire una riorganizzazione militare del gruppo. Per il Libano, la prova è dimostrare di essere all’altezza del compito storico di garantire sicurezza e stabilità nel proprio territorio. Ora la comunità internazionale, e dall’Italia ci si aspetta un ruolo diplomatico più incisivo, in considerazione della sua postura privilegiata in Libano, deve svolgere il ruolo del genitore saggio che accompagna il figlio appena maggiorenne nelle scelte sagge: eleggere un Presidente della Repubblica, organizzare un referendum per la neutralità politica e militare del Paese dei Cedri, lavorare sulla ricostruzione di un tessuto socio-economico che riporti il Libano nella sua posizione naturale di ponte, ovvero di una “Svizzera del Medio Oriente”.

 

di Bernard Selwan El Khoury


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