La Siria sotto il regime di Bashar al-Assad

Marta Felici 11/08/2024
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Dallo scoppio della Guerra civile siriana, datato al 15 marzo 2011, il conflitto tra le diverse fazioni è gradualmente entrato in una fase di stallo, nonostante le tensioni militari siano ancora evidenti su alcuni fronti. L’autorità del Presidente siriano, Bashar al-Assad, sostenuta da Russia e Iran, rimane sostanzialmente intatta, controllando circa il 70% del territorio siriano. Il resto del Paese è diviso tra Amministrazione Autonoma del Nord e dell’Est della Siria (AANES)/ Rojava, Coalizione nazionale dell’opposizione siriana con i ribelli filo-turchi del Syrian National Army (SNA), e Hayat Tahrir al Sham (HTS). A ciò si aggiunge sia la presenza delle milizie filo-iraniane e di Hezbollah, dislocate nel territorio controllato da Al-Assad, sia la crescente ripresa dell’attività delle cellule dello Stato Islamico (IS), nonché il nucleo originario del dissenso anti-governativo, noto come Free Syrian Army (FSA), relegato nei pressi della base statunitense di al-Tanf. Di fatto, la suddivisione delle amministrazioni e il controllo del territorio sono influenzati principalmente da attori esterni come Russia e Turchia, oltre che dagli Stati Uniti e dall’Iran, che, presenti sul territorio siriano, determinano le dinamiche del conflitto.

L’amministrazione territoriale

Il rientro di Al-Assad nella Lega Araba nel maggio 2023 ha consacrato l’avvio di una nuova era per la Siria, sancendo di fatto il riconoscimento da parte dei Paesi arabi di una situazione non risolvibile nel lungo termine con le tensioni militari. In realtà, però, l’autorità di al-Assad è stata confermata grazie al supporto, in primis militare, di Russia e Iran, nonché all’intesa strategica tra Russia e Turchia sulla gestione della crisi siriana.

Il Governo siriano di Al-Assad, autorità riconosciuta internazionalmente, mantiene il controllo, attorniato dai frequenti episodi di violenza e scontri tra fazioni, su tutti i territori dei Governatorati di Dara’a, as-Suwayda, Quneitra, Homs, Damasco, Tartus, buona parte di quelli di Latakia e Hama, parzialmente su quelli di Aleppo, ar-Raqqah, Idlib e Deir ez-Zor, e in limitate aree nel governatorato di Al-Hassakah. Un’eccezione significativa al suo controllo riguarda l’area della base di Al-Tanf, che si estende tra i governatorati di Homs e Damasco, dove sono presenti truppe statunitensi e il FSA. Proprio in quell’area è situato il campo di sfollati di al-Rukban, noto per le condizioni precarie dei residenti a causa dell’assedio posto dalle truppe dell’Esercito Arabo Siriano (SAA), esercito regolare del Governo di al-Assad. L’intera area della Badiyah siriana, il deserto siriano, che si estende tra i governatorati di Homs, Damasco, Hama, Aleppo, ar-Raqqah e Deir ez-Zor, è teatro di frequenti attacchi da parte delle cellule dello IS. Questi gruppi perpetrano numerosi attacchi mortali contro le forze dell’Esercito Arabo Siriano (SAA), le milizie affiliate al governo siriano e le milizie filoiraniane presenti nella regione. Gli attacchi riescono persino a raggiungere aree più popolate come Damasco e Dara’a. Nel corso dell’ultimo anno, ci sono stati evidenti segni di rinascita dello Stato Islamico, come dimostrano gli attacchi terroristici contro residenti sciiti a Damasco e gli scontri intensi tra IS e unità militari del SAA nelle campagne di Dara’a.

Il vasto controllo territoriale esercitato dal Governo siriano riflette una politica di appeasement, più o meno diretta, degli attori internazionali. Da una parte, Russia e Iran sostengono l’autorità di al-Assad, ma competono in maniera indiretta per esercitare influenza sulle sue formazioni militari e sui suoi territori. Dall’altra parte, la Turchia continua a mantenere un controllo de facto sui territori controllati dal SNA nel nord della Siria, ed esercita un’influenza più o meno esplicita su HTS e sul suo leader al-Jawlani, responsabili dell’amministrazione di una vasta area del Governatorato di Idlib fino ai confini con la Turchia. La strategia turca, però, rimane ancorata alla linea politica e militare volta a contrastare la presenza curda, alias del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), a ridosso dei suoi confini. Questo si traduce in operazioni militari turche frequenti contro obiettivi delle Syrian Democratic Forces (SDF), coalizione di milizie curde, arabe e assiro-siriache ritenuta dalla Turchia emanazione del PKK e presente nella maggior parte del Governatorato di al-Hassakah, in parte nei governatorati di Aleppo e al-Raqqah, e in tutti i territori del Governatorato di Deir Ez-Zor sulla sponda sinistra dell’Eufrate. Proprio nelle aree di confine tra territori del SNA e delle SDF si trovano aree di schieramento congiunto con la presenza del SAA e delle SDF, a contenimento di un eventuale, quanto improbabile, espansione del SNA . L’unica opposizione armata “istituzionalizzata” alle forze del SAA proviene dal gruppo politico e militare sunnita HTS, che rimane, tuttavia, priva di prospettive di successo. I fronti militari tra Idlib, Latakia e Hama assistono giornalmente a bombardamenti reciproci tra le parti.

La capacità di Bashar al-Assad di mantenere il potere si riflette principalmente nella frammentazione dei suoi avversari all’interno del panorama siriano e nel limitato sostegno internazionale che ricevono. Attualmente, il SNA, a causa di accordi tra Turchia e Russia, è confinato alle aree settentrionali della Siria, mentre gli Stati Uniti e la Coalizione internazionale si limitano formalmente a sostenere le SDF nel combattere lo Stato Islamico. Di fatto, il tipo di sostegno che gli Stati Uniti stanno offrendo alle SDF contribuisce a mantenere lo status quo in Siria. Eppure, dopo il 7 ottobre e l‘avvio dell’operazione al-Aqsa, ma nei fatti già prima di questa data, gli Stati Uniti hanno dovuto fare i conti con milizie filoiraniane sempre più agguerrite e pronte a danneggiare le strutture statunitensi in Siria e in Iraq. La Resistenza islamica in Iraq nasce con questo obiettivo. L’apice delle tensioni, però, non si è concretizzato né in Siria né in Iraq, bensì in Giordania.

L’Iran, la Resistenza Islamica in Iraq e i clan arabi

Il 28 gennaio u.s. tre soldati statunitensi sono stati uccisi e almeno altri 34 feriti in un attacco, condotto mediante 1 drone, all’avamposto statunitense “Tower 22” in Giordania, nei pressi del confine con la Siria. In quel frangente, proprio la Resistenza islamica in Iraq rivendicava un attacco contro la base di al-Tanf, in Siria, poco distante dalla “Tower 22”. Sia che gli Stati Uniti abbiano creato una struttura militare oltre confine, da al-Tanf in Siria alla “Tower 22” in Giordania, sia che la Resistenza Islamica in Iraq abbia dichiarato che l’attacco fosse avvenuto in Siria per tutelarsi da una possibile ritorsione giordana, Washington ha sfruttato questo episodio, come in altri casi, per attaccare milizie filo-iraniane sia in Siria che in Iraq. In tale contesto, al-Assad è stato “costretto” a intervenire, o meglio a lasciare che la Siria divenisse ancora teatro di scontri per procura. L’ingegno iraniano dietro questa eventualità datava almeno qualche mese prima il 7 ottobre, ovvero all’agosto 2023. In quel periodo forti tensioni si stavano verificando nella sponda sinistra dell’Eufrate, quando alcuni elementi delle tribù arabe contestarono alle SDF un’usurpazione dei loro diritti e proprietà. Inizialmente limitatesi a atti di guerriglia tra alcune tribù arabe, da un lato, e le SDF, dall’latro, nei territori controllati dall’AANES/Rojava, presto le tensioni si sono estese oltre l’Eufrate. Gruppi filo-Assad, con il sostegno significativo dell’Iran, si sono presto integrati nei conflitti, anticipando un’escalation di vasta portata. Questo sviluppo inevitabilmente si è intrecciato, in modo ingarbugliato e allo stesso tempo separato, con le successive operazioni della Resistenza Islamica in Iraq, e con l’intensificazione, a partire dal 7 ottobre u.s., delle operazioni israeliane sul suolo siriano. Tali eventi confermano che il potere di Bashar al-Assad è contemporaneamente stabile e precario: l’influenza dell’Iran ha rafforzato la posizione di al-Assad, ma ha anche reso evidente la sua dipendenza dai piani strategici iraniani. Questi piani mirano principalmente a espellere gli Stati Uniti dalla Siria e dall’Iraq, con l’obiettivo più ampio di aprire un corridoio terrestre da Teheran a Beirut. Il sostegno militare, economico e politico rappresenta un chiaro impegno dell’Iran per realizzare questa connessione attraverso la Siria e l’Iraq, consolidando così la sua influenza strategica fino al Mar Mediterraneo.

La Russia

Allo stesso tempo, la Russia, impegnata nel conflitto in Ucraina, ha dovuto ridimensionare il suo coinvolgimento in Siria, permettendo così un aumento dell’influenza e del potere decisionale dell’Iran nel paese. A breve termine, un’escalation nel Medio Oriente potrebbe aver rafforzato la posizione della Russia nel conflitto con l’Ucraina e nei confronti degli Stati europei, e potenzialmente anche degli Stati Uniti. Il relativo disinteresse per le tensioni tra la Resistenza Islamica in Iraq e gli Stati Uniti in Siria ha permesso alla Russia di concentrarsi sull’addestramento del SAA e sul reclutamento di mercenari siriani da schierare nel fronte ucraino. Tuttavia, la Russia continua a fornire un supporto, seppur limitato rispetto al passato, al SAA, principalmente concentrato nel contrasto a IS nel deserto siriano e nelle operazioni contro HTS nella regione di Idlib.

L’opposizione attiva nei territori controllati da al-Assad

La vera minaccia ad al-Assad, evidentemente non nel breve termine, potrebbe in realtà provenire da quei movimenti non statali, politicamente e religiosamente intransigenti, che aggravano giorno dopo giorno la stabilità del territorio, traendo consenso da una popolazione stanca, povera e abituata alla guerra. La ripresa dello IS e di altri gruppi di opposizione all’autorità di al-Assad stanno creando un terreno fertile per un rinvigorirsi delle tensioni, seppur ancora in maniera controllata. Tanto il clima di insoddisfazione per la presenza di militari e miliziani stranieri quanto la disaffezione verso le forme di autorità non in grado di soddisfare i bisogni della popolazione spingono molti individui a convergere nella costituzione di forme di opposizione violenta nei confronti dell’autorità.

Prospettive nel breve termine

Le concertazioni internazionali nate per facilitare un’intesa tra i vari attori del panorama siriano hanno da tempo raggiunto un punto morto. Gli attori influenti preferiscono ora canali meno formali, adattando le loro alleanze alle circostanze del momento. Finché Russia e Turchia non cambieranno la loro posizione in merito al conflitto siriano, la situazione in Siria rimarrà in stallo, permettendo a Bashar al-Assad di conservare la sua autorità. Nel frattempo, mentre l’Iran continuerà a esercitare una forte influenza sui territori controllati da al-Assad, fornendo alla Siria un supporto vitale contro le sanzioni occidentali, Israele risponderà con operazioni militari mirate a contrastare elementi iraniani e filo-iraniani presenti in suolo siriano e considerati una minaccia per la sicurezza di Tel Aviv. L’autorità di al-Assad potrebbe essere in parte intimidita da gruppi come lo Stato Islamico e dalle formazioni locali ribelli, mentre le proteste pacifiche ad as-Suwayda, pur segnando un malcontento popolare nei confronti del Governo centrale, non hanno il potenziale (alias sostegno dall’esterno) per rovesciare la situazione. Invero, anche IS e i gruppi armati ribelli potrebbero influenzare gli equilibri politici solo con un forte supporto esterno, eppure contribuiscono a mantenere un clima di instabilità in Siria.


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