La crescente influenza economica della Cina nel continente africano rappresenta uno degli sviluppi geopolitici più significativi del XXI secolo. Da decenni, l’Africa è infatti al centro della politica estera cinese, la quale ha implicazioni che spaziano dalla diplomazia al commercio, dalle infrastrutture alla sicurezza. Le strategie della penetrazione economica cinese in Africa hanno tuttavia seguito multiple traiettorie, avendo conseguenze differenti per gli Stati africani e generando reazioni contrastanti tra la comunità internazionale.
Oggi la Cina è il secondo partner commerciale del continente dopo l’Unione Europea e il primo della regione sub-sahariana. Nel 2023, gli scambi hanno raggiunto i 262 miliardi di dollari. L’Angola è stato il principale esportatore africano verso la Cina, seguito dalla Repubblica Democratica del Congo e dal Sudafrica. Quest’ultimo, il maggiore partner commerciale cinese, è stato il primo acquirente di beni cinesi nel 2023, seguito dalla Nigeria e dall’Egitto.
Le relazioni tra Cina e Africa hanno radici profonde, risalenti al 1947, quando il Partito Comunista Cinese (PCC) consolidò il proprio controllo sulla Cina continentale. Fin dagli anni ’50, Pechino ha identificato l’Africa come un partner strategico per motivi ideologici, economici e politici. Inizialmente, la strategia cinese mirava a guadagnare consenso internazionale, contrastando il riconoscimento di Taiwan e promuovendo il concetto di solidarietà tra Paesi in via di sviluppo. La Cina ha sostenuto i movimenti di liberazione nazionale, posizionandosi come alleato naturale dei Paesi africani emergenti.
Nel 2000, la Cina ha istituito il Forum per la Cooperazione Cina-Africa (FOCAC), una piattaforma strategica per rafforzare i legami bilaterali e multilaterali con gli Stati africani. Tale strumento ha permesso a Pechino di creare canali diplomatici e finanziari diretti, facilitando accordi in diversi settori chiave, inclusi infrastrutture, energia e formazione. Allo stato attuale, i 9 Vertici del FOCAC, tenutisi a cadenza triennale, hanno coinvolto complessivamente 53 Paesi africani, oltre che la Commissione dell’Unione Africana (UA).
L’ultimo vertice del FOCAC si è svolto nella Capitale cinese tra il 4 e il 6 settembre 2024, per la prima volta in presenza dopo la pandemia da COVID-19, la quale aveva costretto la leadership cinese a organizzare virtualmente la precedente edizione del 2021 a Dakar (Senegal). L’evento, al quale hanno preso parte oltre 50 leader africani, è stato presieduto dal Capo di Stato cinese Xi Jinping. Tale presenza ha confermato la volontà cinese di continuare a stringere alleanze e ad espandere la propria influenza sul continente, nonché di affermarsi come protagonista della “modernizzazione del Sud globale”.
Con la strategia Going Out, la Cina ha incoraggiato le proprie aziende a investire all’estero, individuando nell’Africa una destinazione privilegiata. Tale approccio si è intensificato con l’inaugurazione della Belt and Road Initiative (BRI) nel 2013, iniziativa che si prefigge di creare una rete infrastrutturale globale che includa il continente africano come parte centrale delle nuove vie del commercio.
La BRI ha stimolato massicci investimenti infrastrutturali in Paesi come Kenya, Etiopia e Nigeria, con progetti che vanno da reti ferroviarie a impianti energetici. La Cina ha concentrato i propri sforzi su settori come le costruzioni, l’energia e le telecomunicazioni, ampliando al contempo la propria presenza commerciale attraverso joint venture, partenariati pubblico-privati e investimenti diretti. Tale evoluzione ha segnato una transizione da un modello di finanziamento guidato dal debito statale a uno basato su partnership più dirette e flessibili. Le imprese cinesi, inoltre, hanno stabilito filiali locali e infrastrutture produttive in Paesi chiave, riducendo la dipendenza dalle importazioni e favorendo l’integrazione delle economie locali nel commercio globale.
Tuttavia, la mancanza di coordinamento e trasparenza nei finanziamenti ha generato debiti significativi per molti Paesi africani. La pandemia di COVID-19 e l’instabilità geopolitica globale hanno ulteriormente compromesso la capacità di rimborso, esponendo le economie africane a rischi sistemici. Tali criticità hanno, da una parte, esposto la Cina a critiche da parte della comunità internazionale, che ha accusato Pechino di spingere i Paesi del continente verso livelli di debito insostenibili al fine di rafforzare la propria leva politica ed economica, e dall’altra, generato frustrazione tra le aziende cinesi, incapaci di riscuotere i crediti erogati.
Tra il 2000 e il 2023, i finanziatori cinesi hanno erogato 1.306 prestiti per un totale di 182,28 miliardi di dollari a 49 Paesi africani. I fondi sono stati destinati principalmente al settore energetico, dei trasporti, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e finanziario. Dopo aver raggiunto un picco di investimenti nel 2016, i prestiti cinesi ai Governi africani sono diminuiti drasticamente, passando da 28,4 miliardi di dollari a soli 1,9 miliardi nel 2020.
Nel 2023, si sono aggiunti 13 nuovi impegni per un valore di 4,61 miliardi di dollari a 8 Paesi africani e 2 istituzioni finanziarie regionali. È stato il volume di prestiti più elevato dal 2016, seppur ben al di sotto dei primi anni della BRI, quando gli impegni annuali superavano i 10 miliardi di dollari. Sulla base delle proiezioni di diversi osservatori, tali cifre potrebbero essere nuovamente raggiunte nei prossimi 3 anni.
Se la riduzione degli investimenti nel periodo 2016 – 2023 è stata esemplificativa di una ricalibrazione delle priorità di Pechino, che sembra aver privilegiato in tale periodo una maggiore diversificazione delle attività commerciali attraverso contratti diretti alle imprese, le recenti dichiarazioni di Xi Jinping in occasione dei lavori del FOCAC 2024 sembrano confermare l’inversione di rotta nella strategia cinese nel continente.
Il Capo di Stato cinese ha infatti annunciato un piano d’azione in 10 punti per rilanciare la partnership con l’Africa per i prossimi 3 anni. Tale piano includerà una linea di credito di 29,4 miliardi di dollari, 11,2 miliardi di dollari in varie forme di assistenza e almeno 9,8 miliardi di dollari di investimenti in Africa da parte di aziende cinesi. Sebbene l’impegno finanziario sia minore rispetto ai 60 miliardi promessi dalla leadership cinese in occasione del FOCAC 2018, la somma stanziata eccede i 40 miliardi dell’edizione del 2021.
La costruzione di infrastrutture e la concessione di prestiti hanno spesso garantito alla Cina diritti esclusivi di sfruttamento di risorse strategiche, tra cui petrolio, gas naturale e minerali rari come il cobalto e il litio, fondamentali per la produzione tecnologica e l’energia rinnovabile. Tali accordi hanno permesso a Pechino di assicurarsi forniture stabili e a basso costo per soddisfare le crescenti esigenze industriali del proprio mercato interno. Inoltre, attraverso la creazione di zone economiche speciali (ZES) in Paesi come Etiopia e Zambia, Pechino ha integrato produzione e logistica, trasformando queste regioni in hub per il commercio internazionale. Le ZES non solo generano occupazione e infrastrutture, ma rafforzano il ruolo della Cina come partner indispensabile per lo sviluppo africano.
Tuttavia, negli ultimi anni, la Cina ha revisionato il proprio approccio al continente, identificandolo come possibile destinatario dell’esportazione degli armamenti prodotti dal proprio complesso bellico-industriale. Oggi Pechino è il secondo maggiore esportatore di armi verso l’Africa, superando concorrenti tradizionali come la Francia. Gli armamenti cinesi, che includono droni, veicoli blindati e sistemi di artiglieria, sono stati adottati sia da Eserciti nazionali sia da attori non statali. Paesi come il Sudan, il Mali e l’Angola utilizzano tali equipaggiamenti per operazioni interne di sicurezza e per il controllo di territori ricchi di risorse naturali. In parallelo, la Cina ha rafforzato la cooperazione con le Forze Armate di diversi Paesi attraverso programmi di formazione e addestramento, nonché erogazione di assistenza tecnica. Tali iniziative non solo consolidano l’influenza militare cinese, ma creano una rete di dipendenza tecnologica e strategica.
Oltre alla dimensione militare, la Cina ha consolidato la propria presenza economica nei settori critici delle telecomunicazioni, dell’energia e dei trasporti. Attraverso aziende come “Huawei” e “ZTE”, Pechino ha costruito infrastrutture digitali in tutto il continente, contribuendo alla diffusione delle tecnologie 5G e al miglioramento della connettività. Progetti simbolici, come il quartier generale dell’Unione Africana e il Centro Africano per il Controllo delle Malattie ad Addis Abeba (Etiopia), mirano infatti a costruire un’idea della Cina quale promotore di sviluppo e progresso.
Tali iniziative hanno instillato preoccupazione in diversi osservatori internazionali, i quali hanno paventato la possibilità che Pechino possa sfruttare le infrastrutture create per fini di sorveglianza e raccolta di dati sensibili. Inoltre, la capacità delle imprese cinesi di aggiudicarsi appalti in infrastrutture critiche ha alimentato accuse di pratiche anticoncorrenziali e dumping.
La penetrazione economica della Cina in Africa riflette una strategia di lungo termine volta a consolidare il ruolo di Pechino come attore globale. Sebbene gli investimenti cinesi abbiano favorito lo sviluppo del continente e la creazione di opportunità significative per i Paesi in oggetto, tra cui la creazione di posti di lavoro e lo sviluppo infrastrutturale, la dipendenza economica e il rischio di default sui debiti costituiscono criticità tangibili per molti Paesi africani.
Per massimizzare i benefici di tale cooperazione, i Governi africani potrebbero pertanto promuovere collaborazioni con una pluralità di partner internazionali, le quali contribuirebbero a ridurre la dipendenza dalla Cina e a mantenere la propria indipendenza economico-commerciale.
In tale contesto si inseriscono le iniziative di Stati Uniti e Unione Europea per contrastare l’influenza cinese in Africa. Programmi come il “Partnership for Global Infrastructure and Investment “(PGII), sforzo collaborativo del Gruppo dei Sette (G7) per finanziare progetti infrastrutturali nelle nazioni in via di sviluppo in contrapposizione alla “Belt and Road Initiative”, potrebbero pertanto configurarsi quali alternative valide per i Paesi africani.