L’intesa preliminare tra due quartieri di Aleppo amministrati dall’Amministrazione Autonoma del Nord e dell’Est della Siria (AANES) e il Governo siriano potrebbe costituire un modello di riferimento per la normalizzazione dei rapporti tra Damasco e le autorità della Siria nordorientale, oltre a rappresentare un potenziale esempio per future intese tra la nuova compagine governativa e altre forze locali attive nel Paese.
Il 1° aprile è stata raggiunta un’intesa preliminare tra il Consiglio dei quartieri a maggioranza curda di Ashrafieh e Sheikh Maqsoud – enclave urbana della città di Aleppo afferente all’Amministrazione Autonoma del Nord e dell’Est della Siria (AANES) dal 2015 – e la delegazione della nuova compagine governativa siriana guidata dal tenente colonnello Mohammed Abdul Ghani, Direttore della Direzione per la Sicurezza di Aleppo. L’accordo, che riguarda la gestione amministrativa e la sicurezza delle due aree, si inserisce nel contesto dell’intesa già siglata il 10 marzo tra il Governo siriano e le Forze Democratiche Siriane (SDF), formazione armata di riferimento dell’AANES.
I termini dell’intesa, articolati in 14 punti, prevedono il mantenimento delle istituzioni civili attualmente operative nei due quartieri, che verranno integrate nel sistema amministrativo della città di Aleppo. Parallelamente, la responsabilità della sicurezza e del controllo militare sarà trasferita al Ministero dell’Interno. In base a quanto stabilito, le unità delle SDF verranno ritirate e ridislocate a est del fiume Eufrate, mentre le forze di sicurezza interna dell’AANES, note come “Asayish”, resteranno operative nell’ambito della nuova architettura della Sicurezza Interna di Aleppo, sotto l’autorità di Damasco.
In attuazione dell’accordo, nei giorni successivi è stato concluso il primo scambio di detenuti, avvenuto sotto la supervisione delle SDF. Lo scambio ha riguardato oltre 200 persone precedentemente incarcerate in strutture legate all’AANES e alle autorità locali curde nel Governatorato di Aleppo. Più di 600 detenuti saranno coinvolti nel processo di scambio, inclusi soggetti arrestati dopo la presa di controllo dell’area da parte del “Comando delle Operazioni Militari”, coalizione dei gruppi armati che hanno partecipato alla deposizione di Bashar al-Assad. Parallelamente, le SDF hanno avviato il progressivo ritiro dai due quartieri, con tre fasi iniziali concluse il 4, il 9 e il 10 aprile, durante le quali unità militari sono state trasferite fuori dall’area urbana di Aleppo.
Nonostante l’intesa raggiunta, restano elementi di fragilità legati a profonde divergenze interne alle stesse strutture curde. Le SDF e i partiti riuniti sotto l’egida dell’Amministrazione Autonoma (AANES) risultano attraversati da divisioni significative, alimentate da rivalità politiche interne e da influenze esterne, che si riflettono in posizioni contrastanti sull’opportunità di una collaborazione strutturata con il Governo centrale di Damasco. L’attuazione dell’accordo potrebbe pertanto incontrare ostacoli di natura operativa, in particolare per l’opposizione di alcuni esponenti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e per la possibile permanenza, in forma latente, di elementi legati al Movimento della Gioventù Rivoluzionaria (Ciwanên Şoreşger), gruppo armato affiliato al Partito dell’Unione Democratica (PYD). A ciò si aggiunge la delicata questione dell’ Unità di Protezione Popolare (YPG) – componente centrale delle SDF – che continua a rappresentare un nodo critico nei rapporti regionali, soprattutto alla luce della posizione della Turchia, che ne richiede lo scioglimento in quanto ritenuto una minaccia diretta alla propria sicurezza nazionale. Tuttavia, il modello sperimentato ad Aleppo potrebbe costituire un catalizzatore per una crescente pressione da parte di segmenti della società civile, élite locali e forze politiche della Siria nordorientale favorevoli a un graduale reinserimento istituzionale nell’ambito dello Stato centrale.
L’intesa raggiunta nei quartieri di Ashrafieh e Sheikh Maqsoud rappresenta, in questo senso, un banco di prova per l’accordo più ampio firmato il 10 marzo tra il comandante delle SDF, Mazloum Abdi, e il Presidente siriano Ahmed al-Sharaa. Tale accordo prevede l’integrazione progressiva di tutte le strutture civili e militari presenti nella Siria nordorientale – compresi i valichi di frontiera, l’aeroporto internazionale di Qamishli e i giacimenti di petrolio e gas – sotto l’autorità amministrativa dello Stato siriano. La dichiarazione congiunta ha inoltre riaffermato che “la comunità curda è autoctona dello Stato siriano”, riconoscendole il diritto alla cittadinanza e alla piena tutela dei propri diritti costituzionali. In un contesto caratterizzato da persistente instabilità nelle regioni costiere, così come nei Governatorati di al-Suwayda e Daraa, l’architettura dell’accordo tra le SDF e il Governo siriano potrebbe rappresentare un modello operativo per l’integrazione di forze locali all’interno di un futuro esercito nazionale ristrutturato. Qualora la sua attuazione producesse risultati concreti, tale impostazione potrebbe offrire un paradigma replicabile anche in altre aree del Paese, in particolare nella Siria meridionale e occidentale, suggerendo una possibile revisione delle modalità di governance precedenti e un’apertura verso formule più inclusive di gestione del territorio.
di Marta Felici – Junior Analyst COSMO