Algeria: “primavera araba” o ritorno agli anni di piombo?

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Lo scorso 2 aprile, dopo oltre un mese di pacifiche proteste di piazza contro la sua quinta candidatura a Presidente dell’Algeria, Abdelaziz Bouteflika si è ufficialmente dimesso da Presidente del paese nordafricano, carica da lui ricoperta ininterrottamente dal 1999. Migliaia di algerini sono scesi in piazza lo stesso giorno per esprimere la loro felicità per le dimissioni dell’anziano Presidente, costretto dal 2013 su una sedia a rotelle a causa di un ictus che ha anche fortemente ridotto le sue capacità verbali, e hanno ripetuto slogan che sancivano la loro prima vittoria contro il sistema al potere.

Il 9 aprile, Abdelkader Bensalah, Presidente dal 2002 del Consiglio della Nazione, la Camera alta del Parlamento algerino, ha assunto la carica di Presidente ad interim dell’Algeria, come previsto dalla Costituzione algerina, che stabilisce inoltre l’indizione di elezioni entro 90 giorni dalle dimissioni del Presidente.

Nonostante la felicità della piazza algerina per la vittoria raggiunta con le dimissioni dell’anziano Bouteflika, i dimostranti sono consapevoli che si tratta di un risultato parziale: l’obiettivo ultimo delle proteste algerine è infatti la caduta di tutta la cerchia che ha governato dietro le quinte per quasi venti anni, e la condanna in sede processuale di tutte le figure responsabili, in primis del furto del denaro pubblico.

La nomina di Bensalah a Presidente ad interim per 90 giorni non ha inoltre soddisfatto la piazza algerina e l’opposizione. Il Movimento di Costruzione nazionale ha condannato le autorità algerine per aver ancora una volta trascurato le richieste del popolo e imposto una politica del fatto compiuto. Mohcine Belabbas, Presidente del Raggruppamento per la Cultura e la Democrazia, ha definito la nomina di Bensalah “un golpe contro la volontà e la sovranità popolare”. Il Movimento della Società per la Pace ha affermato che la nomina di Abdelkader Bensalah a Presidente ad interim rappresenta “una provocazione e un insulto al popolo algerino, che ha deciso di rigettare categoricamente il governo e Bensalah”, sottolineando che “tutte le misure imposte dopo le dimissioni di Bouteflika indicano che il sistema politico, che supportava il quinto mandato dell’ex Presidente e ha rigettato tutte le proposte dell’opposizione per una transizione democratica, si sta rinnovando senza rispondere alle richieste del popolo algerino”.

Il Vice Ministro della Difesa e capo di Stato Maggiore dell’esercito, il Gen. Ahmed Gaid Salah, ha chiesto al popolo algerino di essere paziente “in questa fase cruciale per realizzare le richieste popolari”, con riferimento alla fase di transizione che fino al 4 luglio, data delle prossime elezioni presidenziali, sarà guidata da Abdelkader Bensalah. In questo momento, la posizione di Ben Salah nei confronti della “seconda ondata della primavera araba” è più che mai ambivalente: l’anziano militare rappresenta infatti, da un lato, il simbolo dell’élite politica e militare che per decenni ha supportato Bouteflika; d’altra parte, è stato Gaid Salah, dopo oltre un mese dall’inizio delle proteste, a mettere in moto la macchina della destituzione di Bouteflika chiedendo l’applicazione dell’articolo 102 della Costituzione, che prevede la dichiarazione di incapacità del Presidente. Intanto, l’11 aprile, Algeri è stata interessata da uno schieramento di forze di sicurezza senza precedenti dall’inizio della mobilitazione popolare, per impedire alle marce contro il governo di Bensalah di raggiungere la sede del Parlamento.

Nonostante le dimissioni di Bouteflika, gli algerini, come dall’inizio dalle marce pacifiche iniziate lo scorso 22 febbraio, continuano a chiedere un cambiamento radicale del sistema politico e trasparenza nella conduzione della res pubblica, consapevoli che vincere una battaglia non significa vincere la guerra. E difficilmente un ulteriore rafforzamento delle misure di sicurezza scoraggerà le manifestazioni di piazza.


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1 commento su “Algeria: “primavera araba” o ritorno agli anni di piombo?”

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