Libia – Egitto: Haftar incontra Al-Sisi, al bivio della “lotta al terrorismo” 2

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[dalla versione cartacea del Il Mattino, 15 aprile 2019]

14 aprile, domenica mattina. Il Generale Haftar vola a Il Cairo per incontrare il Presidente Al-Sisi. È il suo primo viaggio fuori dalla Libia, da quando, lo scorso 3 aprile, il Generale Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito Nazionale Libico (ENL o LNA), ha ufficialmente lanciato l’operazione militare “per ripulire la capitale libica”, Tripoli, come affermato nel suo discorso ufficiale.

Non è un caso, naturalmente. Nella regione, il Presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi è il principale alleato, politico e militare, del Generale Haftar, che vede nell’esperienza di Al-Sisi, già comandante generale delle Forze Armate egiziane prima di diventare Presidente, un naturale esempio da replicare in Libia. Sulla carta, esiste un nemico politico comune – la Fratellanza Musulmana – e una lotta condivisa, il cui nome può essere a volte tanto vago quanto strategico: la “lotta al terrorismo”. Chi conosce le basilari dinamiche geopolitiche del mondo arabo, sa che questa espressione viene usata, e spesso strumentalizzata, da chi si trova al potere per poter legittimare, anche agli occhi della comunità internazionale – in primis gli Stati Uniti, impegnati in prima linea nel contrasto al terrorismo dopo l’11 settembre – azioni mirate ad arginare le minacce politiche, che nel mondo arabo arrivano spesso da forze islamiste come, ad esempio, la Fratellanza Musulmana. È accaduto in Egitto. In maniera più decisa, è accaduto in Siria. Sta accadendo anche in Libia, dove il Generale Haftar accusa il suo “rivale”, Fayez al-Serraj, presidente del Governo di Accordo Nazionale di Tripoli, riconosciuto a livello internazionale, di spalleggiare milizie islamiste ed estremiste a lui fedeli. Dal canto suo, Serraj utilizza una strategia comunicativa semplice e immediata, focalizzata sui sentimenti di repulsione da parte del popolo libico nei confronti del ricordo del regime militare di Gheddafi. In altre parole, il Governo Serraj accusa Haftar di voler ripristinare il regime autoritario, come da lui stesso dichiarato nel suo ultimo discorso ufficiale.

Uno scambio di accuse, una lotta di potere e una partita a scacchi tra potenze esterne che finora è costata la vita a centinaia di persone a Tripoli, 121 per l’esattezza, compresi alcuni bambini, come riferito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Un’emergenza dunque anche umanitaria, che sta portando diversi paesi e organizzazioni internazionali, in primis l’Italia – come confermato nel suo ultimo discorso dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte – e l’Onu, a chiedere un immediato cessate il fuoco.

La guerra di Tripoli è probabilmente l’ultima tappa di un conflitto tra altre potenze, iniziato nel 2011, con la caduta del regime di Gheddafi. A sostenere fortemente il Generale Haftar nella sua ascesa al potere ci sono soprattutto la Francia, la Russia, gli Emirati Arabi Uniti e, appunto, l’Egitto di Al-Sisi.

Per la comunità internazionale, l’Egitto rappresenta oggi, più di quanto non lo fosse già in passato, un paese strategico anche e soprattutto per arginare la minaccia del terrorismo. A ovest c’è la Libia, che per la vicina Europa significa approvvigionamenti energetici ed emergenza immigrazione; a est c’è il Sinai – dove qualche giorno un attentatore dell’Isis si è fatto esplodere – e, dunque, Israele. L’Egitto, la sua stabilità, e l’operato delle sue forze di sicurezza, sono materia di “sicurezza nazionale” per i Paesi occidentali. E Al-Sisi lo sa. Lo scorso 9 aprile, lo stesso giorno dell’attentato nel Sinai, il presidente egiziano è arrivato a Washington per incontrare Donald Trump, che lo ha ricevuto nella Casa Bianca definendolo “un grande presidente” e “un amico”, nonostante diversi gruppi bipartisan al Congresso abbiano espresso la loro preoccupazione per i dati sui diritti umani, le modifiche costituzionali e il pianificato acquisto di armi russe da parte dell’Egitto.

Dunque, andando da Al-Sisi, Haftar è andato, indirettamente, anche dagli alleati del Presidente egiziano. Il Generale libico vuole essere certo di poter vincere la sua ultima battaglia – quella di Tripoli – ma soprattutto deve essere certo che la vittoria gli porti maggiore consenso piuttosto che l’accusa di aver causato centinaia di morti per far piombare il paese in una situazione di stallo maggior rispetto a quella precedente al lancio dell’operazione, lo scorso 3 aprile. Senza mezzi termini, Haftar è andato a chiedere al suo principale sostenitore nella regione, nonché capo supremo di uno dei maggiori eserciti arabi, Al-Sisi, l’appoggio per chiudere la partita di Tripoli. Questo sostegno militare egiziano, Haftar lo aveva già ottenuto nel 2014 a Bengasi e lo scorso anno a Derna, riuscendo in entrambe le città a sconfiggere le organizzazioni estremiste pro-Isis. Ma questa volta Haftar ha dichiarato guerra a un Governo che, per quanto debole, è internazionalmente riconosciuto, e dunque un eventuale sostegno militare di Al-Sisi questa volta rischia di essere percepito non come un sostegno alla “lotta al terrorismo” ma come un non-allineamento dell’Egitto con i suoi alleati tradizionali.


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